La Corte di Cassazione, con la recente pronuncia n. 30617/2024, ha sancito che non è configurabile il reato di cui all’art. 187 Cds, comma 8, nel caso in cui il conducente di un’autovettura rifiuti di sottoporsi al prelievo delle urine in luogo del prelievo ematico, essendo ugualmente idoneo, quest’ultimo, all’accertamento dell’assunzione di sostanze stupefacenti.

I giudici di legittimità ribadiscono l’orientamento per il quale, al fine di ritenere provata la configurazione del reato de quo, lo stato di alterazione del conducente non può essere desunto, a priori, da elementi sintomatici esterni, tra i quali possiamo annoverare l’incapacità di camminare senza sbandare o l’alito vinoso, ma debba essere accertato, in concreto, sulla base di quanto prescritto dall’art. 187 Cds, comma 2, ovvero tramite un esame su campioni di liquidi biologici, il quale tende all’individuazione e quantificazione della sostanza sulla scorta di competenze specialistiche.

Precedentemente, la Corte Costituzionale si era espressa sul punto tramite l’ordinanza n. 277/2004, sottolineando che la fattispecie ex art. 187 Cds può ritenersi configurata attestando la presenza congiunta di due elementi, ovvero lo stato di alterazione, rilevabile in modo oggettivo dagli agenti di P.G., per il quale è possibile valersi di indici sintomatici come quelli sopra richiamati, ed il contestuale accertamento della presenza di sostanze stupefacenti o psicotrope nei liquidi fisiologici del conducente, a nulla rilevando, a tal proposito, la quantità effettiva delle stesse bensì gli effetti concreti derivanti dall’assunzione.

Nel caso di specie esaminato dalla Suprema Corte., la stessa ha avuto modo di sancire il principio in forza del quale risulta pienamente legittimo il rifiuto del conducente di sottoporsi ad altro specifico accertamento, quale quello delle urine, nel momento in cui si è mostrato disponibile ad effettuare il prelievo ematico.