Ambulanza
Qui sull’ambulanza stiamo finendo il giro, il collega e io. È notte. Lui sembra affaticato. E anche
io, del resto. Più tardi andrò a dormire. Magari mangerò. Sono piegato sul sedile ad annotare
le cose. Regolare. Un nuovo giorno nasce e io no. Poi faccio un bel salto in avanti… Cosa c’è,
oltre al vetro? Magari la luce, la notte, la colazione e lei. Un camion. Sento solo un rumore.
Crash
L’abitacolo mi sputa fuori. Finisco col corpo sul selciato, mi accartoccio sotto le ruote.
Arrotolato come un gatto rotto, con le spalle, la testa, il bacino, la speranza, il male e le gambe.
Le gambe che ascolto non le sento mancare. Ma svegliarsi è domani. E domani non sono
ancora io.
Barba (il risveglio del corpo, parte I. Il corpo che mi parla)
Ci sono quei giorni che non ti puoi svegliare. Che non è che non ce la fai, dico. È che proprio
non ha senso. Perché non ha più senso niente. Niente. L’infermiere mi ha scosso un po’. Dice
che è importante partire da quello che sembra niente. Che proprio niente non è, anche se non
sai bene cos’è e cosa farci. Mi dice fatti la barba, intanto. Penso che senso ha, anche se… Mi
faccio la barba a Montecatone. È strano, ma sono ancora io. Trovo un volto bello, lì sotto alla
barba che non voglio.
Mani (il risveglio del corpo, parte II. Il corpo che mi risponde)
Sono in reparto. Con quell’altro nel letto vicino al mio. Quello parla poco e se parla si lamenta.
Non avrò più nessuna ragazza, dice. Dice e si dispera. Chi lo vuole uno così, chi lo guarda. Uno
che sa solo star fermo. Lui è quasi immobile, paralizzato dal collo in giù. Scendiamo a
prendere il caffè. Vado al banco. Pago. Prendo il vassoio sulle ginocchia. Ci metto i caffè. Lo
zucchero. Lo scontrino e gli spicci. Spingo la sedia fino al tavolo. Visto? Hai fatto tutto da solo.
Quante cose puoi fare con quelle mani. Con le tue mani. La vita davanti. È convincente l’amico.
Tatuaggi (il risveglio del corpo, parte III. Il corpo che mi racconta)
Il mio corpo parla di me. Questa è la mia storia, sulla mia pelle. Quasi tutti li ho fatti dopo.
Dopo. Le braccia, il collo, la schiena. Motivi giapponesi che parlano dei fatti miei. Una intera
cultura da scrivere, a disposizione. Da disegnare su un corpo che non soltanto ferito. Non è
difettoso. Un corpo nuovo per Omar che c’era e che c’è.
Giustamente
Doveva essere mia moglie. Lavorava con me. Lavora ancora con me, poi. La incontro ogni
tanto. Ha una vita sua. Giustamente. Ma con quello che è successo, dopo, non ci siamo più
sposati. Le cose a volte vanno così. Non sempre le persone sono adatte al nostro nuovo noi.
Così le cose finiscono. E ne iniziano altre. Giustamente.
Casa
Casa mia è grande e ci vivo da solo. Ci sono tante cose che trovi in tutte le case. Se guardi bene,
ma bene-bene, ci sono le mie leve, i manubri per tirarmi su. Ma è una casa. Tutti hanno le loroesigenze e io le mie. Faccio un ragù della madonna. Per lavare i piatti mi incastro sotto il
lavello. Esigenze personalizzate, le chiamano. Chi non le ha?
Seduti
La maggior parte del tempo lo passiamo seduti. Non sono diverso dagli altri, io. Sono io. Però
seduto. Siediti che parliamo. Sedetevi. Perché? È cambiato qualcosa? (Rido. Anzi, non rido.
Sorrido. Però contento).
Santuario
Devo fare molta preparazione. Ironwalk. Mi piace lo sport. Anche con l’esoscheletro. La fatica
la facciamo tutti. È dura per tutti arrivare lassù. Mentre spingo sulle braccia, senza pensare a
chi mi aspetta, ma a cosa mi fa male. Ecco, penso che il corpo mio soffre, risponde, si allunga.
Si allunga verso il sole. Nella sofferenza sono tutti uguali. Seduti siamo tutti uguali. Respiro
verso il sole di San Luca. La testa chiara e il corpo che frigge. Sono più forte di tutti e tutti mi
aspettano. Li ho tutti dentro mentre rispondo. Mentre sorrido sono nel cuore di tutti. E nel
mio.
Pistoni elettrici
Non mi piace soltanto andare verso l’alto. Mi piace andare avanti. In tutti i sensi. Correre.
Guardo le prove della moto GP e penso che sono seduti. La mia moto, oggi, ha i pistoni
elettrici. Sono collegati al pedale del cambio. li comando con una pulsantiera collegata con il
manubrio della moto e. Ho superato un altro ostacolo. Seduto.
Libro
Puoi fare tutto quello che vuoi. Anche di più. Anche scrivere un libro. Lo avevate mai scritto un
libro prima? Parlato così tanto in giro e scritto così tanto di voi? Io no. Oggi si, invece. Ho
perduto abilità; ho trovato abilità. Sono un essere umano. Qui c’è scritto tanto, non tutto.
Come superare le avversità, dal mio punto di vista. Non arrendersi. Lottare senza dimenticare.
Non c’è proprio tutto di me. Una parte. Il coraggio, compreso il coraggio di avere avuto paura e
superarla. Un uomo di ferro, di inchiostro e di cuore. Sono in parte io. In parte Omar. Perché
tutto quanto Omar si svela ogni giorno, ha ancora tante cose da fare.
Anche assieme a chi legge.
Luca Martignani