Il Tribunale di Torino percorre il solco già tracciato dalla Corte di legittimità (Sezioni Unite nn. 8827/2003, 8828/2003, 26972/2008) in tema di risarcibilità del danno da perdita del prossimo congiunto. I Supremi giudici avevano già sottolineato che “la morte di un congiunto ledeva i diritti inviolabili della persona, e come tali, non ascrivibili alla cd. famiglia nucleare, incentrata su coniuge, genitori e figli”. La stessa Corte aveva riconosciuto così il risarcimento del danno non patrimoniale ai congiunti superstiti, non vincolandolo al solo requisito dalla convivenza. Ciò, però, purché si accerti che il fatto illecito abbia provocato quel dolore e quelle sofferenze morali che solitamente si accompagnano alla morte di una persona cara, essendo necessario a tal fine dimostrare che, tuttavia, sussistesse ancora un vincolo affettivo particolarmente intenso.
Il Tribunale torinese ha così constatato, nella fattispecie in esame, che l’assenza di un vincolo di stretta parentela tra il de cuius e la nuora, ovvero tra lo stesso e il nipote, non è ostativo al riconoscimento del danno non patrimoniale per la perdita del prossimo congiunto, “laddove risulti dimostrato il pregresso e l’effettivo reciproco vincolo di affetto familiare e l’intensità del legame”.
La circostanza dell’assenza della mera convivenza tra le parti non è di per sé legittima ad escludere il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti da questi ultimi (nuora e nipote), ma costituisce un elemento da valutare in concreto per l’accertamento del danno.
Pertanto, la convivenza non assurge a “connotato minimo di esistenza”, ma può eventualmente costituire un elemento probatorio utile alla valutazione. Nella fattispece (sent. n. 4716/2021), i giudici torinesi hanno così riconosciuto la voce di danno nei confronti del nipote e della nuora del de cuius, verso il quale si era instaurato un intenso e pacifico legale di affetto tale da assimilare il rapporto “a quello tra genitore e figlio”.