È stata depositata nella giornata di ieri, giovedì 11 giugno, la sentenza n. 154/20 della Suprema Corte di Cassazione, Sez. V penale, con la quale gli Ermellini hanno dichiarato inamissibili i ricorsi presentati dagli avvocati difensori dei tre funzionari e dell’amministratore delegato di Spea S.P.A., controllata del Gruppo Autostrade. La questione riguardante le misure cautelari della sospensione dall’esercizio dei pubblici uffici e divieto di svolgere attività per i concessionari di pubblico servizio, emesse a carico dei quattro indagati, verteva sull’accusa di falso ideologico per aver contraffatto i rapporti ispettivi relativamente ai viadotti Bisagno e Veilino lungo la A12 nel territorio di Genova, ma con una responsabilità anche per il viadotto del Polcevera, il cosiddetto Ponte Morandi. Queste condanne, sono arrivate al termine di un primo filone di inchiesta partito proprio dalla tragedia del 14 agosto 2018. In particolare, come si legge dalla sentenza, nelle relazioni trimestrali che i funzionari erano tenuti a produrre venivano riportate informazioni verificabili solo con l’accesso all’interno delle strutture, cioè per stabilire la presenza o meno di difetti era necessario recarsi fisicamente sul luogo del viadotto e visionarne lo stato. Ciò non avveniva dal 2013. Ossia nessuno si era mai preoccupato di verificare effettivamente se quel ponte rappresentasse un pericolo per gli utenti che lo attraversavano. Ma ugualemnte queste relazioni venivano prodotte. La Cassazione, sottolineando “lo sprezzo del rispetto della normativa a beneficio del perseguimento degli obiettivi della società (Spea S.P.A. ndr)” ha ribadito come i funzionari abbiano completamente abdicato all’esercizio di verifica e controllo che gli era stato demandato. Il Tribunale del Riesame si era già soffermato sul fare spregiudicato manifestato in particolare da uno degli indagati incaricato proprio dell’attività di controllo e sorveglianza delle opere autostradali e quindi dei due viadotti. In questo modo, come si legge nella sentenza dei giudici di Piazza Cavour, “il Tribunale ha così ipotizzato che la piena consapevolezza – circa l’incompletezza delle verifiche sui viadotti e la mancanza di fedeltà sui rapporti – in capo alle figure deputate a sovrintendere e a vigilare sulle attività di verifica nonché la partecipazione ad una politica aziendale tesa alla minimizzazione dei costi e a dare l’immagine di una perfetta funzionalità della rete autostradale, costitutiscano condotte atte ad istigare ed incoraggiare le condotte materiali dei sottoposti”. Dunque la responsabilità è ripartita tanto tra chi doveva vigilare e chi era vigilato.
Sostanzialmente il Tribunale ha ritenuto che aver contribuito ad una politica aziendale tesa a ridurre ogni costo di manutenzione ed aver tollerato tali mancanze fossero tutte condotte pienamente riconducibili al falso ideologico. Pur di risparmiare si è preferito mettere a repentaglio la vita di chi ogni giorno transita su quei viadotti, esattamente come è avvenuto sul Ponte Morandi.
La Cassazione ha confermato la misura cautelare della sospensione dall’esercizio dei pubblici uffici e divieto di svolgere attività per i concessionari di pubblico servizio per soli 12 mesi, un tempo irrisorio se paragonato al valore della vita umana.