La Terza sezione civile della Cassazione, con sentenza 1126/2015, ha definito la vicenda del ragazzo catanese che nel 2001 era stato sottoposto alla revisione della patente, ossia una nuova visita medica di idoneità, perché durante la visita militare aveva dichiarato di essere gay. Una situazione per la quale il giovane aveva fatto ricorso e lamentato, in primo grado, oltre alla discriminazione una lesione della privacy.

La Suprema Corte ha stabilito che il risarcimento di soli 20 mila euro riconosciuto dalla Corte d’Appello di Catania, contro i 100 mila euro riconosciuti in primo grado e i 500mila chiesti nel ricorso iniziale, è ingiustificatamente esiguo e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Palermo.

La decisione della Corte d’Appello di Catania di ridurre l’indennizzo derivava dal fatto che sarebbero mancati elementi per considerare il danno subito tanto grave da giustificare la somma riconosciuta. Secondo la Corte d’Appello, infatti, il giovane aveva solo dovuto essere sottoposto ad una convocazione della Commissione medica provinciale per l’accertamento all’idoneità alla guida. Non ci sarebbe stata lesione della privacy perché gli atti erano passati da un ufficio pubblico ad un altro, quindi la loro conoscibilità era limitata. Anzi sarebbe stato il ragazzo stesso a pubblicizzare la cosa denunciandola ai media. Sarebbe inoltre venuta a mancare la dimostrazione delle gravità delle sofferenze subite.

Gli Ermellini ribaltano tali argomentazioni sottolineando che la sola esistenza della discriminazione sessuale, sebbene mai messa in discussione in nessun grado di giudizio, è un grave vulnus alla personalità. Il passaggio dei dati da un ufficio pubblico all’altro non è garanzia di riservatezza e infine, un caso del genere avrebbe fatto clamore anche senza la denuncia ai media da parte dell’interessato. La Cassazione ha anche individuato la reiterazione: le amministrazioni avevano resistito anche di fronte al Tar.