Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3673 del 25 luglio scorso ha chiarito le conseguenze relative alla modifica del comma 5 dell’articolo 73 del Dpr n.309/1990 (“Testo unico sugli stupefacenti”) specificandone la differente l’applicazione sia in sede penale che in sede amministrativa.
In caso di condanna per detenzione o spaccio di stupefacenti, anche se la condotta è stata definita di “lieve entità”, persiste la revoca della patente di guida quale conseguenza automatica. Di fatto la modifica del comma supera quanto contenuto nell’articolo 120 del Codice della Strada “Requisiti morali per ottenere il rilascio della patente di guida”, in quanto “sarebbe stata introdotta una nuova figura di reato – art. 73/5° c. -, cioè una fattispecie di lieve entità, corrispondente alla precedente circostanza attenuante, stabilita dallo stesso articolo, la quale avrebbe determinato l’effetto, in base al principio di trattamento più favorevole al reo, di modificare e/o superare l’automatismo, quanto meno con riguardo all’ipotesi più lieve di ‘detenzione e spaccio di droghe leggere’, riformulata, come si è detto dalla nuova normativa penale”.
Il Consiglio di Stato ha così respinto il ricorso di un guidatore contro la decisione del Tar del Lazio che aveva confermato il provvedimento di revoca emesso dalla Prefettura di Roma, forte di un ricorso accolto dal Tar della Lombardia.
Il Supremo Collegio amministrativo sottolinea così che, sebbene l’articolo 120 CdS sia rimasto sostanzialmente invariato “la distinzione delle condotte previste dall’art. 73 del Dpr n. 309/1990 rileva in sede penale ma non rileva in sede amministrativa e quindi ai fini dell’applicazione del predetto articolo 120 per il quale la misura della revoca della patente consegue a qualsiasi condanna per le fattispecie di reato previste dal citato art. 73”.